5.2.11

Feeling blue

Da quando ho cominciato a masticare l'inglese, da quando - già un po' di tempo prima - ho cominciato ad ascoltare musica in inglese e a volerne capire il significato (ebbene sì, sono di una pedanteria pesante pesante, e già quando ero più piccolino e le connessioni internet flat erano ancora un privilegio per pochi esperti, mi collegavo per cercare le traduzioni delle canzoni - per la gioia di mio padre, che si ritrovava bollette telefoniche non esattamente irrisorie), insomma, da quando ho confidenza con la lingua anglo-americana, mi ha sempre ammaliato l'espressione 'to feel blue'.
Per quante domande si possa porre generalmente un fanciullo, alla fine mi rassegnavo sempre. Ma con gli occhi del quarto di secolo mi accorgo che:
- la formula continua ad esercitare su di me la sua malia;
- non era vera e propria rassegnazione.
Presente quando uno assaggia qualcosa, una bevanda, un vino per esempio, e ha bisogno di tempo per assimilarne il gusto, per assimilare se stesso al sapore (e odia il proprio padre quando, avendo lui procurato un vino nuovo, fiero della sua scoperta, a tavola non aspetta altro che tu accosti il bicchiere alle labbra per chiederti, scalpitante, sporgendosi dal suo posto: 'e allora, com'è'? e tu, premeditando giusta vendetta, avresti voglia di urlare in ugro-finnico o persino in esperanto: 'papà, ma non vedi che ho solo appoggiato il bordo del bicchiere al labbro inferiore?!?'...ma sto divagando, sorry)?
Dicevo: credo che quella bella e unica espressione inglese sia decantata in me, per tutto questo tempo.
Non che io non ne abbia cercato il significato, intanto; ma ha sempre lasciato un'impressione di sfuggevolezza: come si è arrivati al significato attuale di 'to feel blue'? Certamente una spiegazione ci sarà (e se qualcuno di voi - Gno, mi è sembrato di capire che tu e l'inglese ve la intendiate molto bene - la conosce, sarei felice di apprenderla), ma la malia ha sempre annebbiato la morbosa curiosità e la pedanteria da letterato.
Di sicuro noi italiani - figli di una sintassi maggiore, oltre che di un dio minore - non abbiamo una locuzione di cotanta bellezza, per esprimere un concetto altrettanto alto; per esprimere qualcosa che, di per sé, è inesprimibile, indefinibile (come definire, d'altronde, i sentimenti che si provano quando uno feels blue? Di questi tempi si preferisce ricorrere a nomenclature come 'depressione', 'ansia' o, bene che vada, 'scazzo', 'malinconia/melanconia' ecc.: una parte di me darebbe la colpa di tutto ciò a Cartesio e ad Hegel, ma potrei argomentare - credo - se solo avessi studiato meglio la filosofia ai tempi del liceo; ad ogni modo, resta il fatto che la nostra cultura deve comunque definire, cioè incasellare).
Gli anglofoni hanno associato l'indefinibile ad un colore, un colore, dico!
Blu è il cielo, blu è il mare: sopra e sotto, cioè praticamente ovunque!

Tutto questo perché in questi giorni, tra le altre cose, continua imperterrito l'ascolto di Hegarty, angelo o no che sia...
(E, per inciso, farò anche presente all'analista questo frequente ricorrere alla metafora enologica associata al genitore, quando sarà...)

2.2.11

Antony and the Johnsons - Hope there's someone, live


Quante volte è più comodo e meno arduo delegare, chiedere al cervello di smetterla e delegare. Persino ad una canzone.


(Certo, poi bisogna vedere anche i risultati...ma ssst! non diciamolo troppo in giro...)