So che è un argomento ormai trito e ritrito. So anche che non è nemmeno più un fatto tanto nascosto né taciuto: una volta smosse le acque torbide, lo sporco e il puzzo, il torbido, la melma e la merda saranno ben riconoscibili, alla vista e all'olfatto. Per fortuna.
So che non sono nessuno per fare la morale (ammesso che una morale ci sia, che ci possa essere) e so per certo che non voglio essere io il primo a crearne una: personalmente, vivrei addirittura meglio in un mondo a-morale (e non immorale).
Conosco, poi, tutti i discorsi sull'umanità, sulla condizione dell'essere umano, che è limitato, talvolta sporco, certamente difettoso e tendente all'errore - oltre a viverlo nella mia vita, per anni sono stato infarcito (e mi sono infarcito, devo riconoscerlo) di buoni sentimenti, di buone intenzioni, di comprensione per l'altro etc. Sbagliamo tutti, insomma. Ok, non ci piove.
Ma è qui che casca l'asino. E che io mi incazzo.
Io me ne sono letteralmente scappato da un ambiente - quello cattolico, qualora non si fosse già capito - nel quale sono cresciuto e del quale sono stato nutrito; fino all'ingozzamento, s'intende. Tutto bello, tutto grande, tutto promettente, specie per un ragazzino che già a diciotto anni non vede più niente di bello, di grande e di promettente. Finalmente un po' di pace.
Poi la bomba scoppia, di nuovo. E stavolta riguarda tutti - tutti - gli aspetti della vita. E vai con le morali: e vai con i sensi di colpa, con il perenne senso di errore, con quella maledetta macchia che sembra segnarti indelebilmente, a vita. Tanto era l'amore da cui eri circondato, riscaldato, confortato: 'bombardamento amoroso', mi pare, lo chiama qualche studioso. Studioso di sette (
secta, da
sequor, 'seguire'; ma anche da
seco, 'taglio, recido, escludo').
I discorsi, i tentativi di convincimento (da parte degli altri), i tentativi di mediazione (da parte tua) continuano per un po': ma ad avere la meglio è lo spirito di auto-conservazione, l'impulso all'auto-difesa, alla sopravvivenza. Anche nella merda. Anche tra gli psicofarmaci.
Voluntas.
Niente di più sacro e santo, allora.
Il resto: parole, parole.
Non rompetemi il cazzo, grazie: rifiuto l'offerta e vado avanti. Ma questo significa dare un nuovo valore - l'unico possibile - alla propria vita. Io sono io, per voi non è possibile che io stia qui così come sono: (non) è stato un piacere. Non abbiamo stipulato nessun accordo. Siccome rappresento la minoranza. Ok, tolgo il disturbo: me ne vado (del resto, se dobbiamo dirla tutta, non vi ho mai neppure creduto fino in fondo).
Questo significa farsi il culo, rimboccarsi le maniche, prendere il proprio piccone e lavorare sodo. Lavorare e vivere, respirare. Almeno un po', almeno quello che mi è concesso. Significa ripartire da sé, e da nessun altro. Significa essere aperti al mondo, significa essere: semplicemente, essere.
Quando sento, quando leggo di sacerdoti - esseri umani, lo so, lo so benissimo - che abusano di bambini; quando leggo del signor
Riccardo Seppia (in arte '
don') e del suo bravo e piccantino scambio di battute telefoniche sul conto di ragazzini (a lui non piacciono quelli troppo stagionati - leggasi sedicenni); quando apprendo che gli unici provvedimenti presi da parte dei suoi capi sono l'interruzione (momentanea) delle sue funzioni sacerdotali e la confessione
coram populo della propria vergogna (dei capi rosso e biancovestiti, s'intende); quando penso a tutti i discorsi ascoltati da queste due orecchie, alle cose viste da questi due occhi, agli
aut-aut posti e imposti ad un'esistenza che non recava danno - né fisico né morale - a nessuno eccetto che a se stessa; quando penso all'influenza che questa casta/setta/congrega ha sul pensiero di un intero paese (quando non di buona parte della popolazione mondiale): è in questi momenti che provo lo schifo più schifo che un essere umano sia in grado di concepire e griderei al tradimento, griderei alla condanna senza assoluzione, griderei al cappio. Invece grido, e basta.