28.12.10

Lezioni pratiche (number 1)

Mai piantare chiodi richiamando alla mente certi volti, certe facce e rispettivi sguardi, parole et similia.
Si potrebbero rovinare le pareti. Ed è un grosso peccato.

24.12.10

Una cagna. Più indietro il suo padrone, un clochard (così piace chiamarli) su due stampelle.
La cagna, festante, scodinzola, arriva - da sé - sull'ingresso della farmacia. Non entra, lo aspetta, fiuta, annusa.
Lo guarda, scodinzola. Lui arriva.
Lui la sorpassa, si ferma, si china verso di lei. Lei lo guarda.
In dialetto, lui: 'Aspetti cinque minuti, e poi ce ne andiamo? Eh? Aspetti?'.
Nessuna cosa più bella, in questi ultimi tempi.

22.12.10

Ma il treno dei desideri dei miei pensieri all'incontrario va

No, non è proprio tempo di restare a casa, questo.
Sebbene oggi sia una giornata di vento, e solo dio (o chi per lui) sa quanto fastidio mi dia il vento - che poi non è vero e proprio fastidio; è, piuttosto, un misto indistinto e indistinguibile di sensazioni: strana sensazione di inadeguatezza, sensazione di inerme impotenza, tedio leopardiano, infine, appunto, fastidio e persino qualche grammo di paura - nondimeno oggi casa mi pesa. Devo andare.
E allora io quasi quasi prendo il treno e vengo, vengo da te...cara Feltrinelli. È il minimo. Ma tanto si sa che quella è la scusa per: camminare, camminare, camminare.
Così raggiungo a piedi la stazione, aspetto il treno, salgo e sto già meglio, più di come mi aspettavo. Per me è sempre stato così, coi treni. E non so se questo benessere sia dovuto al ritmo dondolante, alla miriade di paesaggi che scorre davanti al finestrino (ovviamente sempre quello di destra, sul mare per quasi tutto il tragitto) o allo scorrere - più lento lassù - dei pensieri o a cos'altro.
Arrivo alla stazione, comincio a camminare. E a perdermi, tra vetrine (di cui non me ne frega una beata m*****a, in verità) e strade, tra barboni e cani, tra sguardi presenti ma assenti, tra resti di fast-food scaraventati a terra e calpestati, in mezzo alla confusione di gente che in altri periodi non raggiunge mai questi livelli - e mi sembrano tutti dei parvenus di quelle strade, delle mie strade, che loro adesso invadono occasionalmente per trovare l'acquisto migliore al prezzo migliore, per poi tornare nelle loro case e dimenticare: opportunisti.
Entro alla Feltrinelli, affollata anche lei, peggio di una pasticceria la vigilia di natale - relativo odio per quelli che si riversano in libreria solo per togliersi il pensiero del regalo da fare: dissacratori.
Non ci riesco, oggi non è come vorrei: sono distratto, mi distraggono.
Cambio libreria, vado a quell'altra, a due passi da lì: clima - stranamente - più congeniale.
Trovo lui:



finalmente lo compro, finalmente può essere mio.
Ritorno alla centrale, mi metto nuovamente a girare tra le varie sezioni, dopo aver scambiato qualche battuta con alcuni conoscenti (di quelli che, però, non vorrei incontrare, o vorrei incontrare il meno possibile), vado da Lei e adesso sono pronto ad acquistare anche questo:



Ovviamente la fila alle casse è da sudore e brividi insieme, ma con mia grande sorpresa il traffico è molto scorrevole. 
Esco: bancarella. Lui, a prezzo stracciatissimo, quasi da vergognarsi:


Lui, compagno in un periodo importante della mia vita, un periodo che ricordo sempre con affetto. Va da sé che non posso lasciarlo lì (con tanto di testo latino a fronte).

Soddisfatto come una massaia (non sarò mica una massaia, nel profondo del mio animo?) che ha trovato i migliori prodotti per la casa, adesso posso accendermi la sigaretta che avrà un gusto diverso, più gradevole, buono; e posso tornare al treno, al mio treno.
Certo, se non continuassi ad avvertire la mancanza di qualcosa, sarei, forse, anche più contento...
Ma vabbè.

20.12.10

Niente di natalizio...

...è solo una candela
















(ovvero: come, alle volte, cose perfettamente banali possono assumere valore, ai miei occhi)



19.12.10

No, tanto per sapere

Sono pazzo io (ok, alternativa scontata, e questo è assodato ormai, per certi aspetti) oppure mandare un sms di buon compleanno dopo più di sei mesi che non ci si sente né da una parte né dall'altra (dall'una perché ci si costringe a rispettare la 'volontà' e le 'scelte' altrui, non fosse altro che per una questione di mera oggettività; dall'altra perché...non si sa perché) significa comunque prendere una posizione? A maggior ragione se si scrive qualcosa come 'probabilmente sono fuori luogo, ma [ecc. ecc.] non posso non farti gli auguri di compleanno, dovrei rinnegare troppo tutto quello che sento'?
Io certamente non ho un cervello perfettamente sano.
Nondimeno tendo fortemente a credere che certa gente non si ritrovi ad avere altro, di intero. O a non averne per niente.
Ma, ovviamente, il mio giudice personale non propende mai per la mia parte...

Piccoli presepi crescono

Ma dico io.
Uno non può neanche più allontanarsi un attimo da casa, ché rischia quasi di essere sfrattato, al ritorno.
Dico: ok, ho vita semi-autonoma, non condivido più le stesse stanze h24 con famiglia ecc. Ma questo è troppo, e quella è sempre casa mia, se permettete. Fino a quando non avrò tolto piede da quelle stanze, foss'anche per quell'unica ora al giorno, quella è e resta casa mia.

Ok, mamma, ti concedo il presepe tradizionale (ma quest'anno te lo costruisci tu, io non ne ho alcuna intenzione, e sai pure perché), ti concedo l'albero con le meravigliose lucine che fanno atmosfera (tanto nel mio regno, giù, non c'è né ci sarà niente di tutto ciò). Ma non esageriamo, adesso.
Cosa ci fa quest'altro presepe che mai avevo visto in vita mia in questo posto che, peraltro, mai è stato riservato né da te concepito per un presepe? No, non era conservato, non è vero: è nuovo, non c'è mai stato.
Cosa ci fa quest'altra sacrafamiglia appollaiata su quel mobile che è sempre stato completamente vuoto?
Che?
Aumento improvviso della demografia betlemita? Emigrazione di massa? Adozione pluri-familiare? Tentativo di compensare la faticosa e vana ricerca di un ostello per la partoriente&compagno di due millenni fa?

Mamma, scegli: o loro o me.

13.12.10

Notes

Interrompo forzatamente il mio sciopero verbale per annotare e (fare) notare (a me stesso, innanzitutto) un paio di cose:
- giorni di una pesantezza atavica, tremenda, di quella che, appunto, ti tappa la bocca e ti lega alla parete peggio di un feticista sadomaso e ti costringe a guardarla, mentre tu vorresti dimenarti, gridarle addosso e guardare altrove ma non puoi;
- testa che va a mille e non trova riposo, né di giorno né - figuriamoci - di notte (effetto 'occhi di bambola', ma al contrario: ti distendi per dormire e, invece di chiudersi, gli occhi ti si sgranano al buio, tanto che il dirimpettaio deve chiederti, infastidito, di spegnere gli abbaglianti);
- insolite novità (...);
- paura;
- paure;
- paura;
- ok, oggi reagisco: non sapendo dove andare, per non rischiare di finire a 'Chi l'ha visto?' e costringere la Sciarelli ad un altro incidente diplomatico, resto a casa e...faccio pulizie! E, inoltre, mi sbizzarrisco, spostando letto, scrivania, creandomi un angolo lettura con la poltrona, recuperando disegni miei e di cari amici per incorniciarli e appenderli, finalmente;
- sana stanchezza e pizzico di soddisfazione da massaia;
- insolite novità (...);
- paura&paure;
- i fantasmi smettono di essere fantasmi e compaiono più o meno concretamente: inizio centrifuga del cervello, che comincia a sospettare, a desiderare, a sperare, a sospettare, a fondere (+ insolite novità);
- che culo.

Ora, dico io: giusto oggi, che avevo fatto pulizia?

In questi giorni non ho molte parole...





10.12.10

Post-it

Staccare.
Staccare la mia vita dalla sua.
Concepirmi autonomo e non mancante, mancante di qualcosa, sempre di qualcosa.
Dover dimostrare niente, a nessuno.
Comprendere che la mia esistenza non ha meno valore, o meno dignità, o meno bellezza, senza e al di fuori della sua.
Riconoscere un atto di volontà, constatare un gesto di libertà: il mio.
(Restare, malgrado tutti i buoni propositi, a braccia aperte, nascosto dietro la siepe, per raccogliere chi potrebbe cadere, stavolta per sempre. Contrariamente ad ogni evidenza.)

7.12.10

Come ieri

Io me lo ricordo quando ho cominciato a svegliarmi la sera.
Nel senso che, da un certo momento in poi, di sera, dopo un'intera giornata trascorsa quasi nell'indifferenza e nella distrazione più totali, come in perenne dormiveglia - uno strano ma inerme e sonnacchioso fastidio verso tutto e tutti - cominciavo a nutrire una specie di interesse verso il mondo, verso la realtà. E - dico - quel momento lì, quel periodo lì io me lo ricordo.
Erano i tempi delle scuole medie, perciò era anche l'inizio della mia adolescenza.
Un pomeriggio (o forse dopo una serie di pomeriggi), fra le tante cose, scoprii che mi scocciava terribilmente fare i compiti. Mi scocciava.
Ma se non era lunedì mercoledì o venerdì - giorni che mi tenevano a scuola sino alle cinque del pomeriggio e poi, subito dopo, per le vie ripide e strette del quartiere medievale della mia cittadina, che tutto facevano fuorché riportarmi a casa nel minor tempo possibile (e io le sceglievo di proposito) - e se non erano i giorni dedicati al 'cazzeggio artistico' con alcuni dei miei compagni e/o amici, allora c'era poco da fare: niente scuse per non studiare.
Non che non mi piacesse studiare, tutt'altro. Era forse l'idea di studiare e l'idea di studiare a quell'ora, in tempi stabiliti, che non mi andava proprio giù. Che, addirittura, mi faceva venir voglia di piangere. Mi faceva avvertire come un peso assurdo al petto e sulle spalle.
Così ad un certo punto (un pomeriggio? due pomeriggi di seguito? due pomeriggi distanziati? tre, quattro?) cominciai a fare niente, pur di non studiare; pur di non studiare a quell'ora. E il pensiero che ci fosse questa massa di libri da leggere, di quaderni da scrivere, nozioni e concetti da capire e apprendere che aspettava solo me e che si raccoglieva soltanto per me, lì, in quell'angolo, paziente e rispettosa dei miei tempi, questo pensiero mi esaltava, mi mandava in una lucidissima estasi.
Ricordo che poi, dopo cena, l'idea di dovermi mettere alla scrivania e fare tutto ciò che non avevo fatto nel pomeriggio - spazzati via più o meno subito tutti i sensi di colpa del caso - mi infondeva un coraggio, un gusto, una passione tali che diluivo il mio lavoro in modo da prolungarlo fino a dopo la mezzanotte, quando in casa non ci sarebbe stato più nessuno tra i piedi. Ero padrone di me, ero presente a me stesso, a quello che volevo.
La cosa più strana (e che forse non capirò mai fino in fondo) è che di tanto in tanto sentivo l'esigenza di alzarmi, camminare, andare in terrazza e guardare fuori, vedere quanta gente (anche e soprattutto nelle case più lontane) fosse ancora sveglia; immaginare chi, tra tanta gente, guardasse la tv, cosa stesse guardando. E ad ogni pausa e ad ogni controllo facevo attenzione, naturalmente, a quante luci intanto si fossero spente, a quali finestre illuminate mancassero adesso alla mia visuale.
E - ricordo - sentivo un legame, una specie di filo invisibile e sottile che univa me a quelli che - a mezzanotte, all'una, alle due - ancora non andavano, neanche loro, a dormire: noi, così pochi...
Persino con le luci delle lampare sul mare, là in fondo. Perché sapevo che lì c'erano vite come la mia; forse con la differenza che loro non sarebbero andati a dormire, di notte.
Io sì...


5.12.10

Cuor di patata



(non dovrebbe essere OGM, il bluastro è semplicemente l'effetto del flash del mio cellulare, ormai antidiluviano)




Notturno (delirio)

In fondo in fondo, la questione è sempre quella: impieghi tanto, tantissimo; anni. E poi?
Cosa saranno mai due anni nella vita di un uomo? Eh, sticazzi.
Sì, ok: è bello fare il salto nell'ignoto, mettere in discussione, mettersi in discussione. Perfetto, bellissimo; ma poi?
Poi cosa farsene, ad esempio, dei fantasmi che ritornano? Ti sembra di averli domati, o almeno ti rassegni al pensiero - o al fatto - di conviverci, per ora, forse ancora per un po', forse per sempre, chi lo sa.
Ma la sensazione che spesso ho è simile a quella di chi, poniamo, ha trovato un sacco pieno di oro e preziosi (insieme a tanta merda) per poi scoprire di essersi, in realtà, risvegliato su un'isola deserta e sperduta. E allora cosa se ne fa? Cosa me ne faccio?
Forse ho fretta o forse no. Di sicuro un po' di paura c'è.
Paura di che?
Paura della solitudine, paura di altre favole, magari di idealizzazioni, paura di altre delusioni (fossero state solo quelle...), paura di altri tradimenti. E di tradimenti di tradimenti. Paura della paura.
Perché chi mi ha fatto buttare nel vuoto se n'è andato, si è ritratto. E non mi interessa più, ormai, il perché.

4.12.10

La vie en rose

Va da sé che uno dei primi strumenti che mi serviranno nella nuova avventura sarà il 'trasportino' (detto anche 'portantina', ecc. ecc.).
Esco, vado al negozio per animali in centro e forse già, in effetti, ero un po' più - come dire - sbarazzino (?): falcate lunghe, ritmo sostenuto, spalle dritte e larghe, canticchio un po' più forte del mio solito (ok, è vero, non mancano certi acuti in falsetto - tecnica a cui devo spesso ricorrere, visto il mio timbro molto basso, più oltre dell'oltretomba - ma sto ben attento a zittire quasi il volume in prossimità di qualsiasi forma di vita semovente); dunque, entro. Mi giro attorno, per l'ennesima volta estasiato da questo nuovo mondo che si apre all around me, parlo con la proprietaria, che si dimostra di una gentilezza incredibile, chiedo, mi informo, mi informa.
Il trasportino! Certo, ero venuto qui per questo, innanzitutto.
Scelgo il colore: celeste (devo accontentarmi tra gli ultimi due colori rimasti, in assenza del giallo-evidenziatore e del verde-limone transgenico che la gentil donzella mi assicura essere stati già venduti...). Prendo il portafogli per pagare mentre l'irreprensibile fanciulla chiede al padre-commesso di portare alla cassa il trasportino.
E cosa spunta davanti ai miei occhi non appena li risollevo dalla tracolla?
Un meravigliosofantasticopuccipuccioso trasportino ROSA!!!
La ragazza, un po' imbarazzata, chiede al padre-commesso di cambiare, per favore, il trasportino e prendere quello celeste, precisando che il mio gattino sarà un maschio.
Io, nonostante il cambio all'ultimo istante, non ho più bisogno di queste precisazioni perché, dopo aver salutato e ringraziato con dolce sussiego, sono già sull'uscio del negozio ad immaginare il mio pubblico festante e in delirio...

quand il me prend dans ses bras 
il me parle tout bas, 
je vois la vie en rose...




3.12.10

Per lui

Per lui non riesco a dormire la notte, immaginando le sue carezze, le sue coccole. Per lui ho navigato mari già solcati. Per lui ho consumato due ricariche telefoniche intere. Per lui mi immergo nei bassifondi di questa sciatta cittadina. Per lui ho speso finora tutte le mie finanze. Per lui spenderò ancora le mie finanze e per lui mi vieto e mi vieterò di entrare in ogni libreria che mi capiti sotto tiro. Per lui questo cuore di pietra si fa beffe di se stesso, guardandosi sciogliere, sgomento, come fosse cera...

...

...

...

...

...






(E' in arrivo, si accettano suggerimenti per il nome. I suggerimenti dovranno essere, tuttavia, opportunamente vagliati)







2.12.10

Conversazioni

[...]

G.: «In un momento di crisi come questo bisogna tagliare, ridurre e l'ambito che produce di meno è quello della "cultura"»
I.: «In che senso?»
G.: «Nel senso che, se io devo fare una ricerca utile, faccio una ricerca di natura "scientifica", ad esempio creare qualcosa, sperimentare un nuovo farmaco...a che serve quello che fai tu? A che serve studiare libri, tradurre dal latino e dal greco, a che serve una ricerca umanistica? »
I.: «...» (non sapendo se bestemmiare, per l'appunto, in latino e in greco o aprire lo sportello posteriore e gettarsi dalla macchina in corsa declamando "Arma virumque cano..."; vedendo, intanto, nella propria mente Eschilo che minaccia l'avvento delle Erinni, Socrate che pretende di sapere di sapere, Cicerone in pieno attacco d'ansia che crede di essere il peggiore tra gli avvocati, Lucano che scrive di quanto sono belle le guerre civili e Dante intento a scrivere due terzine in memoria di Federico Moccia, tra i giusti del Paradiso)
G.: «Ok, ti piace, sei un appassionato, ma...a che serve?»
I.: «...» (come sopra, ma stavolta in compagnia di Manzoni che, con tanto di grembiale e fazzoletto in testa, lava sul serio i panni in Arno, e Leopardi che canta "L'ironia del destino vuole che / io stia ancora qui a pensare a te...")
G.: «Quindi, a che serve? »
I.: «Beh, come minimo a permetterti di parlare e di dire tutto quello che stai dicendo...»

(Silenzio)



1.12.10

Memorie (parte III)



Io non riuscirò mai a leggerlo per intero.
Sto andando già a ricollocarlo sullo scaffale, per la terza volta.
Il senso di colpa passerà (forse)...